Marta Mezzino
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Riflessioni su un assordante silenzio

6/22/2020

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 Carissime e carissimi,


spero che stiate bene in questi tempi difficili che attraversiamo. Che ci attraversano.


Ho cominciato a scrivere questa newsletter un po' più di tre settimane fa, pochi giorni dopo l'assassinio di George Floyd e il divampare delle proteste contro il razzismo e la violenza della polizia negli Stati Uniti.


Era come se stessi bruciando.


In queste stesse settimane, ho dovuto gestire ed essere molto presente ai grandi cambiamenti dai quali la mia vita è attraversata (che condividerò in un altro momento), per cui fino ad oggi, non sono riuscita a sedermi e scrivere.


In queste settimane sono stata percorsa da fortissime emozioni di tristezza e rabbia.


Mi sono sentita davvero senza parole, e allo stesso tempo inondata da troppe parole che cercavano disperatamente una maniera per varcare la soglia del mio corpo.


È stata, e lo è ancora, un'opera di grande lavoro interiore poter riconoscere ed accogliere ciò che sento, trovare le parole per cominciare a dire e allo stesso tempo cercare di non proiettare su niente e nessuno ciò che mi accade dentro… comincio.


Ho sentito una così grande rabbia e tristezza di fronte all'ennesimo omicidio razzista.


Rabbia e tristezza di fronte all'ennesimo episodio di violenza mortifera della polizia.


Rabbia e tristezza di fronte alla negazione che il razzismo e la violenza della polizia non sono fenomeni specificatamente statunitensi, ma una realtà diffusa ovunque.


Rabbia e tristezza di fronte alle resistenze di molti di guardare negli occhi il fatto che il razzismo è un fenomeno intrinseco e strutturale del sistema capitalista. Che il colonialismo, il post colonialismo e le politiche migratorie sono manifestazioni interconnesse del seme, capitalista e patriarcale, che è stato piantato sulla Terra da tanti secoli ormai. E che, posto che la nostra vita è completamente immersa in questa dinamica, ogni giorno non facciamo altro che nutrirlo in un certo qual modo.


E che, la miriade di forme che lo sviluppo di tale seme ha preso nella realtà esteriore, non è che lo specchio della miriade di forme che ha preso dentro di noi. E che prende, ad ogni istante.
Rabbia e tristezza di fronte all'ennesima negazione del fatto che il suprematismo (l'idea che, in una collettività, un gruppo sia più importante di un altro, sia esso per ragioni di razza, sesso, abilità, classe... ecc.), è una realtà interiore così come reali sono le sue manifestazioni esteriori.


Tristezza e rabbia che ci sia ancora il bisogno di discutere se esiste e che cosa significhi il Privilegio Bianco.


In questo cocktail potente, ci sono stati ingredienti particolarmente difficili da digerire. Non ho intenzione di farvi una lista di tutto, ma c'è qualcosa che voglio nominare in questo contesto ad alta voce: il silenzio di tantissime organizzazioni spirituali, di maestri, studenti, praticanti di yoga, studi sciamanici, arti curative e altre tradizioni spirituali.


Particolarmente assordante è stato per me il silenzio di molte donne bianche coinvolte in quello che viene chiamato «Risveglio del Femminile». Mi sfugge davvero come sia possibile inneggiare continuamente alla sorellanza per il risveglio del Femminile globale e poi rimuovere le nostre voci da quel che sta accadendo. Come sia possibile rifiutare di dire chiaramente: «SI’, dobbiamo fare il nostro lavoro nel riconoscere la nostra ombra in quanto donne bianche.» Perché, oggi, credo che dire semplicemente (quando lo si dice) «siamo con voi», non basti. Così come non basta avere amici non bianchi o andare a fare la spesa nei negozi cosiddetti «etnici» (termine che già di per sé mi fa rabbrividire), lavorare in una ONG o sostenere le lotte dei migranti (ne parlo per esperienza diretta).

C'è qualcosa di più grande e profondo da perlustrare dentro, nelle nostre coscienze, nei nostri corpi.



Sì, care-i amici-e, ancora una volta l'indignazione mi ha attraversato di fronte alla difficoltà e le resistenze che le persone che si dicono «su un cammino spirituale» hanno nel riconoscere, rapportarsi e prendere posizione di fronte a strutture di potere.
Resistenze a riconoscere come queste strutture dimorano nelle nostre profondità. E come le nostre cellule ne siano intrise, così come il nostro DNA, e come queste condizionino (in maniera più o meno cosciente), il nostro modo di guardare, pensare e vivere la nostra vita.


Sono riuscita a mettere giù qualche parola su tutto ciò... quel che segue sono questioni aperte e spazi di riflessione, un work in progress nel quali m’includo. Non le considero in nessun modo esaustive, né tantomeno ho intenzione di puntare il dito su qualcuno in particolare. Ma dopo aver osservato e vissuto in dinamiche in cui non mi riconosco e che non risuonano per me (dinamiche interiori ed esteriori), ho sentito il bisogno di cercare di dire le cose nel modo più chiaro che in questo momento mi è possibile. Ed assolutamente imperfetto...


Sarà per me un grande piacere ricevere le vostre impressioni, riflessioni riguardo a tutto ciò...


- Il razzismo, il colonialismo e le dinamiche post-coloniali sono fenomeni con cui noi bianche-i dobbiamo fare i conti. Volenti o nolenti. Fa parte della nostra ombra collettiva nella quale dobbiamo trovare il coraggio di guardare se vogliamo davvero cominciare un'opera di co-creazione di un mondo diverso.
Non credo che ci sia bisogno di spiegare quanto l'idea della supremazia della razza bianca abbia non solo reso possibile il saccheggio e la distruzione delle civiltà incontrate sulla strada dell'uomo (e la donna) bianco, ma li abbia anche, per lungo tempo, normalizzati. E quanto tutto ciò abbia influenzato ed influenzi ancora le dinamiche post-coloniali che attraversano il nostro mondo.
Non penso che il fatto di considerarsi su un cammino di ricerca spirituale ci esimi dalla responsabilità di conoscere gli aspetti oscuri della storia da cui proveniamo e, soprattutto, di interrogarci a fondo su quali e in che misura i valori che hanno permeato tale storia facciano ancora parte di noi, in maniera più o meno cosciente.


Certo nessun ‘spiritual seeker’ vorrà mai accollarsi l'etichetta di razzista o post-colonialista, o più in generale di qualcuno che esercita logiche suprematiste di qualsivoglia tipo, eppure...


...in questi anni ho visto nascere e crescere festival e progetti di yoga di vario tipo sponsorizzati da marche come la Nike o l'Adidas, per citarne solo due. La delocalizzazione dei centri di produzione di queste grandi multinazionali, guidata da una logica biecamente capitalista e saldamente radicata in dinamiche post-coloniali (strutturalmente razziste) sulle quali non mi pare il caso di dilungarmi, lo sfruttamento minorile ad essa associato e denunciato ormai da diversi decenni, non sono cosa nuova. Eppure una parte del mondo dello yoga, brillante nella sua aura di luce e amore (disincarnato?), sconnesso dall'esperienza di corpi e anime di uomini e donne non bianchi, pare ignorarlo.
Di fronte a ciò, come fare per pensarsi liberi dal privilegio bianco e dalle sue forme di (inconscio) razzismo e supremazia? Non è forse quello ciò che ci permette di essere fieri e felici di partecipare o addirittura essere protagonisti di tali eventi? Di offrire i nostri corpi (voglio sperare non la nostra anima, anche se dopo tanti anni, mi chiedo come si faccia ancora a separarli) per pubblicizzare in maniera più o meno consapevole marchi sulla cui etica non credo ci sia ormai più nulla da discutere?

Si parla spesso di ‘greenwashing’, forse dobbiamo cominciare a parlare di spiritual washing...?

Ma noi, quanta responsabilità abbiamo nel perpetuare tali dinamiche di sfruttamento razzista quando accettiamo inviti e proposte di questo tipo?


E la famosa non-violenza di cui tanto si parla nelle aule di yoga, dove finisce in questi frangenti?


Eppure la non violenza viene sbandierata da tanti quando si afferma che «non sono razzista, però non sono d'accordo con le proteste violente». Quando si agita la bandiera del non attaccamento di fronte ai fatti del mondo, quando si afferma che «ognuno è responsabile della realtà che ha manifestato nella sua vita». E dharma e karma si srotolano per spiegare se e come sarebbe giusto o meno protestare.
Chi altro potrebbe affermare cose del genere se non qualcuno comodamente abbandonato in una posizione di privilegio?


-Dharma, Karma, Ahimsa, tanto per citare alcuni dei termini che sfrecciano sui social in pillole di saggezza... Quanta appropriazione culturale esiste nel pretendere di spiegare il reale in qualche linea (il tutto corredato da una nostra bella foto in meditazione) appropriandosi di concetti la cui profondità risiede in una lingua, sacra, che solo una piccolissima percentuale di praticanti conosce? Nessun ricercatore serio si permetterebbe mai di parlare di concetti filosofici di un qualsivoglia autore occidentale senza averlo letto e riletto in lingua originale. Eppure, nel mondo della spiritualità, con grande nonchalance, questo è l'atteggiamento quotidiano. Posto che la maggior parte della conoscenza della filosofia e spiritualità racchiuse nello yoga è oggi accessibile al praticante occidentale attraverso traduzioni in o dalla lingua inglese (la cui esattezza sono davvero in pochi ad essere in grado di verificare), non è forse un atto di sottile (ma non meno violenta) appropriazione culturale quello di pensare di poter snocciolare concetti che la maggior parte di noi ha conosciuto tramite traduzioni che abbiamo accettato per vere, concetti la cui profondità risiede non solo nel significato ma nella vibrazione stessa di quella lingua, e dunque, intraducibile nella sua essenza?


Un altro esempio?


Le poesie di Rumi. Spesso sono citate in inglese (o spesso tradotte dalla versione inglese). Quanti di coloro che lo citano si sono davvero avvicinati all'universo di Rumi? La traduzione più conosciuta dell'opera di Rumi è quella di Coleman Barks, un poeta e professore universitario americano. Personalmente trovo il suo linguaggio molto bello e musicale. Però Coleman Barks non conosce il persiano e se scaviamo un po', scopriamo che Barks ha «riscritto» le poesie di Rumi a partire da traduzioni inglesi considerate «pesanti» e «poco accessibili» al lettore occidentale. Barks ha perfino affermato di aver voluto offrire al lettore occidentale il «messaggio essenziale» di Rumi. Di quale pesantezza sta parlando questo professore? E soprattutto, di quale essenza? Ogni riferimento all'Islam (guarda caso) scompare nella traduzione di Bark, cosi come la densità di un linguaggio e di una mistica che non sono proprio semplici da attraversare, né accessibili senza una grande attenzione e apertura e rimessa in discussione di chi siamo (in francese esistono traduzioni molto più accurate e davvero molto più impegnative). Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma quello che m'interessa è semplicemente aprire uno spazio di riflessione su quanta appropriazione e neocolonialismo culturale esistano nell'atteggiamento del rimedio spirituale, del mi-sento-bene che pervadono i circoli spirituali in cui ci ritroviamo.  E quanto esotismo (che è per antonomasia bianco ed occidentale) e mancanza di profondità emergono in filigrana nell'idea di poter avere accesso ad un cammino spirituale senza dover immergersi nella sua complessità. Una spiritualità alla quale ci si aggrappa per poter sopravvivere, nel modo più semplice che riusciamo, in un mondo che si sgretola sotto i nostri piedi, davanti ai nostri occhi.

No, noi non siamo colonialisti... eppure qualche libro di storia, qualche autore di studi post-coloniali (magari un autore o autrice non occidentali!), non farebbero forse poi così male nei curriculum dei teacher training e di scuole spirituali, quantomeno si eviterebbero altre forme di violenza, per quanto verbali e formulate secondo i sacri crismi «passive aggressive» che chi frequenta questi ambienti conosce bene. Quella violenza esercitata, sicuramente senza volere, non lo metto in dubbio, dal giudizio distaccato nei confronti di proteste di chi, da secoli, ha subito e continua a subire una situazione di terribile oppressione e che oggi dice BASTA.


Ma è proprio questo poter opprimere «senza volere» che è in causa, e che ci indica la nostra posizione di privilegio che sto cercando di mettere in luce. E credo che oggi più che mai, quello a cui noi donne e uomini bianchi (su un cammino spirituale o meno, poco importa in realtà), siamo caldamente invitati, è a riconsiderare da dove veniamo e con quale atteggiamento ci siamo appropriati e ci appropriamo ancora, senza volerlo, del mondo. E forse proprio cercare di smantellare dentro di noi tutto ciò che ci fa (inconsciamente) pensare che il mondo-la Natura (di cui tutti oggi parlano, ma quanti ne hanno a che fare nella loro esperienza?) -le culture siano disponibili, consumabili, oggetti usabili per cercare di placare il vuoto infinito che ci divora da dentro.


Sta a noi scegliere di guardare ed ascoltare cosa esce dal vaso ululante di Pandora o continuare a pensare e praticare delle forme più o meno sottili di appropriazione del reale. E così, profondamente, bianche.


-Non nego in nessun modo la possibilità di una prospettiva spirituale da cui guardare ciò che accade nella nostra vita (individualmente o collettivamente). Anzi! Ma quando tale prospettiva si assolutizza e non è in grado di accogliere e riconoscere l'esperienza incarnata di una parte dell'umanità che vive ed ha vissuto secoli di oppressione e violenza, (ri)diventiamo i complici di tale oppressione. Stiamo, ancora una volta, dall'alto della nostra posizione privilegiata, esercitando e reiterando quella stessa oppressione (e questo è vero per quel che riguarda ciò che accade oggi nei confronti delle proteste contro il razzismo e la violenza della polizia, ma gli esempi sono innumerevoli e toccano gli ambiti più disparati).


Quando lo "sguardo spirituale" ci permette di non entrare in contatto con le nostre emozioni (soprattutto quelle meno luccicanti), con quelle dell'Altro, emozioni radicate in un’esperienza Altra a cui non abbiamo accesso dal nostro privilegio, quando lo usiamo per fuggire dalla nostra condizione umana, dalla sofferenza, dalla possibilità di guardare le miriadi di aberrazioni che siamo stati e siamo ancora capaci di manifestare in quanto umanità, quello sguardo diventa una pericolosissima arma di offesa. Un'arma con cui scriviamo, coi nostri passi, con i nostri cliché spirituali o con il nostro silenzio, il privilegio bianco su questa Terra.
Un privilegio che continuiamo a rifiutarci di guardare e che continuiamo, inconsciamente, a nutrire. Un privilegio macchiato di sangue che nessuna invocazione del principio di Oneness potrà mai lavare. E cadiamo proprio in quella dualità a cui cerchiamo di sfuggire invocando l'Unità.


In questi anni ho potuto osservare molte volte quanto lo spiritual bypassing (superamento della realtà incarnata attraverso l'invocazione della dimensione spirituale che avvolge ogni cosa) sia il perfetto alleato delle logiche di dominazione (terrestri e incarnatissime!). Logiche che continuano a lasciare la loro impronta sui corpi dell'Altro, e a scrivere e riscrivere il privilegio dal quale l'Altro, in quanto Altro, è escluso. Quante volte in questi anni, cercando di portare avanti riflessioni, pratiche e ricerca attorno al corpo delle donne, alla nostra ciclicità, il nostro funzionamento energetico, mi sono sentita dire nel mondo dello yoga che «l'anima non ha genere». Che è importante non cadere nella dualità, in questioni di genere, che «tutto é Uno».


E la realtà incarnata dei nostri corpi dove finisce?


Quante volte, mettendo in discussione la necessità di toccare, in virtù di «necessari» aggiustamenti, corpi di cui non conosciamo la storia e le esperienze, mi sono sentita dire che «se il gesto è fatto con l'intenzione di fare del bene» e se «la persona in questione è d’accordo» «adjustments are sooooo healing!». Quante persone che hanno subito violenze non sono assolutamente in grado di stabilire il limite fisico-energetico del contatto con l'Altro? Né possono dire «no, non voglio essere toccata-o». Ma questo, come una miriade di altre cose, nei teacher training non viene affrontato...
Ed è proprio nella negazione dell'esperienza incarnata del corpo dell'Altro che lo spiritual bypassing, insidioso, permette di continuare a scrivere le relazioni di potere che sottendono la nostra società e legano i diversi gruppi sociali a cui, in maniera più o meno trasversale, tutti apparteniamo.

Vogliamo davvero continuare a bypassare la realtà in nome di un reame più elevato?



-Ogni volta che organizzo un cerchio di donne, ci tengo moltissimo a condividere che non basta sedersi in un cerchio tra di noi per uscire dal sistema patriarcale. Che le dinamiche patriarcali non sono estranee ai nostri cerchi. Il patriarcato è dentro di noi, non è semplicemente una bestia esteriore da cui difendersi o combattere. Il patriarcato è nelle nostre cellule ed intride i rapporti che abbiamo con noi stesse, con il nostro corpo, con le altre donne, con gli altri esseri viventi e con questo pianeta. E che se non siamo disposte ad immergerci in ciò che di patriarcale c'è in noi (un lavoro lunghissimo, duro e a volte davvero doloroso, ma che ci offre anche doni incommensurabili) possiamo leggere tutto ciò che vogliamo, partecipare a tutti i cerchi e i ritiri che vogliamo, scrivere post e libri di successo, ma le logiche che abbiamo introiettato continueranno ad essere attive in noi. E soprattutto, e forse ancor peggio, continueremo a riprodurle, questa volta però ammantate da un alone femminil-spirituale che rende tutto molto più subdolo e difficilmente riconoscibile e trasformabile.
Questo, per me, è il lavoro dell'ombra davvero necessario che ogni cerchio (di donne o meno) dovrebbe poter lasciare emergere per ognuna-o di noi.
Purtroppo, e lo dico per esperienza, non è sempre così. In questi ultimi anni stiamo assistendo alla diffusione a macchia d'olio di eventi di ogni sorta legati al Femminile. O alle donne? Ma che differenza c'è? C'è? E cosa succede per coloro che non si riconoscono in un genere? Quest'anno ho visto diversi post celebrare l'8 marzo come «Festa del Femminile» ...! Forse un po' di confusione, di negazione della storia che sottende l'8 marzo?
Ho la sensazione che, paradossalmente, attraverso quest'enorme profusione di eventi stiamo diluendo la possibilità di riflessione e profondità di cui abbiamo così disperatamente bisogno se vogliamo trasformare ciò che ci opprime da millenni.


Cosa possiamo inventare oggi insieme per uscire da questa spirale?


-Ho sempre di più l'impressione che oggi quel che conta non sia immergersi, praticare, approfondire, studiare davvero le questioni che ci attraversano, ma usare queste questioni per inondare il network di foto di quanto siamo belle, libere, realizzate e sacre. É difficilissimo esistere in questo contesto se non vendiamo continuamente la nostra immagine, le nostre creazioni, i nostri workshop. Se non parliamo continuamente, ancora una volta tramite immagini-cliché che accettiamo che ci modellino, poiché le parole, se ci sono, devono essere velocemente commestibili e digeribili perché, velocemente, qualcuno possa schiacciare su LIKE, perché chi ci legge non si annoi e possa, velocemente, ipnoticamente e comodamente schiacciare sul Like della foto delle vacanze del post che segue... Se non mostriamo continuamente quante cose speciali facciamo, se non vendiamo continuamente pacchetti che promettono di accedere alla magia della nostra vera femminilità (?), sperimentare orgasmi cosmici ecc...

A voi non stride di sentire parlare tanto di «andare dentro», di «ascoltare i propri bisogni», di «mettersi in risonanza con i propri ritmi», e poi di dover funzionare, per poter esistere e lavorare, attraverso algoritmi che garantiscono visibilità quanto più siamo «là fuori»? Quanto più siamo visibili, dove la visibilità si esprime attraverso un linguaggio estetico e di marketing che non si discosta affatto da quello mainstream di qualsiasi ambito professionale, profondamente patriarcale e capitalista? Iperconnesse e potenzialmente sempre raggiungibili ed attive?

Quanto di questo fa parte della nostra ombra, che ci scolpisce da dentro, malgrado noi stesse, e che alimentiamo quotidianamente a partire dal nostro condizionamento, da ciò che abbiamo introiettato sin da quando eravamo nel grembo delle nostre madri?


Credo che il silenzio in cui si è immersa una grande parte di esponenti più o meno conosciute di questo movimento di «women awakening» sia proprio l'immagine di questa difficoltà a discendere nella nostra ombra. Nella fattispecie, nel caso del razzismo, nella nostra ombra di donne bianche. Quello dei propri privilegi e delle proprie credenze introiettate.

Credo fortemente, come donna bianca e come persona bianca, che oggi empatizzare con le proteste, dire che siamo anti-razziste e che stiamo dalla parte di chi protesta e lotta non sia abbastanza per smantellare le strutture razziste del mondo in cui viviamo e che ci abitano.

Abbiamo bisogno di discendere nella nostra ombra senza compromessi né concessioni. Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo. E di farlo. Perché è in quello spazio che il razzismo strutturale ha attecchito. É la nostra responsabilità, per quanto doloroso tale processo possa essere.

Recidere le foglie e i rami di una pianta secolare non potrà mai sradicarla dal bosco in cui respira.



Se non accettiamo di guardare questa cosa negli occhi, se non accettiamo d'immergerci non solo nel patriarcato, ma anche nel capitalismo, nel razzismo, nel validismo, nel sessismo (da cui i cerchi di donne e il loro linguaggio, le loro pratiche, non sono esenti) e tutti gli altri « ismi » che implicano il predominio di un gruppo su un altro, che abitano dentro di noi, in maniera più o meno conscia, con coraggio, determinazione e tutta la dolcezza e il perdono verse sé stesse-i di cui c'è bisogno, le nostre pratiche spirituali diventano un potente anestetico che non fa che nutrire la perversità del sistema in cui viviamo.


Educhiamoci.
Ascoltiamo.
Immergiamoci.
Smettiamo di difenderci.
Invochiamo tutto il coraggio selvaggio di cui c'è bisogno, la tenerezza, la compassione verso noi stesse, il perdono verso noi stesse, accogliamo la vergogna e la nostra (bianca) fragilità, la nostra (bianca) vulnerabilità.
Smettiamo di trasmettere un'eredità, di cui non potremo mai essere orgogliose-i, alle generazioni che verranno.
Smettiamo di nasconderci.
Tuffiamoci in questo lavoro e scegliamo di contribuire ad aprire uno spazio da cui un nuova storia di co-creazione possa emergere su questo pianeta.



Il fuoco sta bruciando da così lungo tempo ormai...
.
Sono convinta che ciò che sta accadendo sia un dono potentissimo, un invito ad una trasformazione così profonda e che può portare ad una vera (r)evoluzione.

Insieme ce la possiamo fare.

Insieme, come Io e L'Altro.
Insieme come Me e tutte Quelle Parti di me che non brillano di luce.
Insieme, Tu con la tua Luce e la tua oscurità ed io con la mia Luce e la Mia Oscurità e 

Con infinita compassione e tenerezza.


Non è una questione di colpevolezza o errore.


É una questione di Responsabilità.


Con Amore,


Marta
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